via Elle.it, credits: kikapress |
Proprio sabato scorso il Corriere della Sera citava giustamente Wonder come la più rappresentativa invention mum in Italia, ovvero una mamma che è riuscita a rendere la maternità un punto a proprio favore anziché il contrario. Il che è vero. Wonder ha dimostrato una notevolissima capacità di iniziativa, un talento nel fare e nell'inventarsi nuove possibilità (vedi la prossima apertura del suo Etsy Shop, che venderà materiale scaricabile e stampabile da casa per le feste dei bambini). Però finora è la sola. E le altre?
Forse questo continuo accento sulla maternità e su quanto sia difficile è sbagliato. Forse tutto questo parlarne è solo un modo per piangerci e farci piangere addosso ancora di più. Forse dovremmo smettere di parlarne sui giornali e sui blog e uscire a pretendere che le cose siano diverse. Pretenderlo dai papà, dai Servizi Sociali, dal Ministero del Lavoro, dai bar e dai ristoranti che ti costringono a cambiare il bambino in macchina perché tenere un seggiolone in sala e mettere un fasciatoio in bagno sono opzioni fantascientifiche. Pretendere che i nostri ritmi di vita siano diversi.
Perché, alla fine, è questo uno dei noccioli del libro. Kate, la protagonista, si chiede: "Sono brava nel mio lavoro. Perché devo farlo come se fossi un uomo? Perché nascondere il fatto che ho una famiglia è l'unico modo per essere considerata alla pari rispetto agli altri miei colleghi?"
Al momento, questo è una domanda senza risposta. La risposta, e il cambiamento, dipendono solo da noi e dalla nostra capacità di fare lobby (oddio come parlo, ma sono proprio io?). Purtroppo.
Per il resto, ci vediamo al cinema. Poi, però, fuori a cambiare il mondo!
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Perché mica si può sempre andare a Londra a sfogarsi allo Speakers' Corner.