venerdì 21 maggio 2021

Confessioni di una procrastinatrice patologica

L'ho fatto ancora.

L'ho fatto per l'ennesima volta.

Avevo una cosa da fare. Era semplicissima ma fastidiosa, richiedeva che io uscissi, solo di un millimetro, da quello gli inglesi e i wannabe-cosmopoliti chiamerebbero comfort zone. E non mi andava di farlo. Non tenevo genio, avrebbe forse detto Lenù.

Quindi l'ho rimandata, questa cosa. Di uno, due, tre, cinque giorni, finché i nodi non sono arrivati al pettine e io mi sono trovata qui, con i battiti a mille perché non avevo più via di scampo e il mio stupido autosabotaggio è finito sotto gli occhi di tutti.

Peggio ancora, ho messo nei guai anche gli altri. Guai metaforici, eh. Ma li capisco, questi altri, che aspettavano che io facessi questa piccola, minuscola, insignificante cosuccia che solo io potevo fare e che giustamente si staranno chiedendo che cosa c'è che non va in me. 

Me lo chiedo anche io, sinceramente. Da anni.

Non è pigrizia, anche se può sembrarlo. Ci sono dei giorni in cui mi sento pronta, scattante, efficiente, sul pezzo; poi basta un niente, anche una cosa inutile, per farmi crollare in uno stato che ricorda la trance. A volte mi siedo e improvvisamente è sera e io ho passato tutto il mio tempo a vegetare, a vedermi le cose passare davanti a una velocità stratosferica come se avessi una Giratempo speciale, che fa andare il tempo degli altri mentre il mio cervello entra in pausa.

Lo farò domani. Adesso lo faccio. Lo stavo facendo proprio adesso. Dammi cinque minuti e ti arriva tutto. Mi manca giusto una cosina. Non so quante volte ho detto queste cose. Non so quante volte ho letto negli occhi di chi mi conosce bene che non era vero. Non so quante volte me ne sono fregata e sono andata avanti così.

Quando poi sono stanca, preoccupata o semplicemente scossa, la procrastinazione mi invade come una bestia pericolosa che se ne sta lì, sottopelle, dormiente ma nello stesso tempo pronta a prendere possesso di me, delle mie azioni. Perché lo sento, quando sono in questo stato, che una parte del mio cervello, quella razionale, mi sta dicendo "svegliati"; ma nello stesso tempo e nello stesso spazio delle mie sinapsi c'è un qualcosa di irrazionale che mi incanta e che mi fa dire "perché no? Che male mai dovrebbe fare? Solo due minuti!"

Questo stato vegetativo si interrompe di botto quando arriva la resa dei conti. E' come svegliarsi all'improvviso e rendersi conto che hai dormito nuda, russando come un camionista mentre la bava ti scendeva dalla bocca. Metaforicamente, te li vedi davanti tutti, che ti guardano. Quelli che passano di lì, che pensano, "Pace, è scema." E quelli che ti amano invece non capiscono. Peggio ancora, ti rendi conto che anche la pazienza di quelli che ti amano non è infinita.

Oscillo tra il pensiero di essere malata e quello di essere semplicemente un'idiota.

Di una sola cosa sono certa: si sta davvero male.


Nessun commento:

Posta un commento

Perché mica si può sempre andare a Londra a sfogarsi allo Speakers' Corner.