mercoledì 26 febbraio 2014

Ti prendo e ti porto via

Ecco, ammetto la mia colpa: io di Paco de Lucia non ho mai ascoltato praticamente niente. Non ho mai ascoltato seriamente nemmeno Neil Young, a dirla tutta, ma questa è un'altra storia. Perché se mi dite Neil Young mi viene in mente prima quel verso di Ligabue che lo cita e poi People rokin'in the free world, ma se mi dite Paco de Lucia mi si accende un cartello luminoso in fronte che recita "Ti prendo e ti porto via".
Questo perché Graziano, quarantenne con modi ancora adolescenziali, playboy fallito, biondo solo grazie alle meches, co-protagonista dell'omonimo romanzo di Ammaniti, fa dell'aver conosciuto Paco uno dei motivi del suo fascino. Ho letto questo libro molto tempo fa, quando ancora l'idea che avrei galoppato verso i quaranta anch'io era ben lontana da sfiorarmi anche l'anticamera del cervello, e questo Graziano mi sembrava un povero vecchietto patetico; oggi, ripensando a questo romanzo, invece, mi sono detta: però, insomma, quarant'anni non sono mica tanti. Scherzi di cattivo gusto del passare del tempo.

Rimane il fatto che questo romanzo colpisce. Colpisce perché è duro, perché è torbido, perché sono tutti un po' buoni e un po' cattivi e tu ad un certo punto sei lì che vorresti gridare all'ingenuo di turno di non fare l'idiota, e poi vorresti gridarlo anche al cattivo di turno di non fare l'idiota, di osservare bene quel che ha davanti perché è chiaro che potrebbe essere la sua salvezza e non la sua rovina.
Non aspettatevi nessun lieto fine: nonostante il tono speranzoso del finale, qui quasi tutti rimangono pervicacemente come sono, quelli che cambiano ne pagano il prezzo e la chiusa "e vissero felici e contenti" è meglio lasciarla alle reginette del ballo là, dall'altra parte dell'oceano.

Niccolò Ammaniti
Ti prendo e ti porto via
 Milano, Mondadori, 1999
458 pp.

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