martedì 26 maggio 2015

Desidero del tempo vuoto

It was just me for three days.
All by myself.
I wasn't anybody's wife or doctor or mother.
 And I kind of liked it.
Non è disinteresse verso la famiglia. Non è neanche insofferenza, a voler ben vedere. A volte mi pesa, ma non mi dispiace dover essere sempre presa prima da un figlio, poi dall'altro, poi dalle necessità del marito, poi da quelle della casa, poi da quelle del lavoro o del resto (si prendano, per esempio, i famosi impegni del frullatore, o il fatto che avremo un battesimo nel giro di poco).

Credo sia proprio che, mai come negli ultimi tempi, desidero una vacanza. Ma una vacanza nel senso pieno del termine: un tempo vacante, vuoto, da riempire come meglio credo. Non una settimana in vista della quale bisogna preparare tonnellate di lavatrici, ennemila cambi, passeggini, lettini da campeggio, scarpe, medicinali, termometri e far rientrare tutto nel minor spazio possibile sfidando le leggi della fisica: due, tre giorni in vista dei quali si buttano in una borsa due mutande, un cambio e lo spazzolino da denti e stop.
Sono felice delle scelte che ho fatto, di essermi sposata relativamente presto (avevo meno di ventisette anni), di avere avuto il primo figlio presto (avevo ventotto anni). C'è una sola cosa che rimpiango: non aver mai vissuto da sola. Mi dispiace di non essermi mai data la possibilità di non avere altro da fare che pagare il mio debito con la società lavorando, per poi tornare a casa e avere la possibilità di fare pressoché qualunque cosa: mangiare se ne ho voglia, farmi un bagno, una passeggiata, una corsa in tram, ordinare una pizza o delle schifezze dal cinese, andare a nuotare, a farmi fare un massaggio.
E non è che queste cose io non possa farle, ora come ora: posso farle, ma richiedono uno sforzo organizzativo superiore alla mia voglia. E il lavoro? Posso farlo in pausa pranzo? Con chi lascio i bambini? Chi prepara la cena? E se faccio tardi? E se il nonno di turno non può? E se il papà ha un'urgenza di qualunque tipo?

Quindi mi capita sempre più spesso, soprattutto dopo aver visto The great pretender, la puntata 11x12 di Grey's Anatomy  (serie che ho sempre rubricato sotto "cose che forse è meglio non sapere dei chirurghi": preferisco immaginarmi il tizio che mi deve togliere la cistifellea come il dio della sala operatoria piuttosto che come uno che prima si fa ore di paranoie del tipo m'ama-non-m'ama-m'ama verso la specializzanda bionda e poi si infratta nella camera del medico di guardia con la prima che capita. Ogni tanto, però, quel geniaccio della Shonda ti tira fuori dal cappello un'epifania che ti lascia lì, stordita, e ti fa pensare "ma questa ha capito tutto"); dicevo, dopo aver visto la suddetta puntata di Grey's Anatomy, sogno sempre più spesso di prendere un treno, scappare per tre giorni da qualche parte, sola, e di godermi il lusso di dover pensare solo a me stessa. Mamma mia che goduria.


Aggiornamento del 27.05.2015: lo dice anche il Washington Post che dobbiamo muoverci e deciderci a fare le cose da soli. Dev'essere l'universo che mi parla.

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Perché mica si può sempre andare a Londra a sfogarsi allo Speakers' Corner.