martedì 22 marzo 2016

La Storia dentro casa

Una volta mio padre mi ha raccontato della prima volta in cui si è reso conto che stava vivendo la Storia.

Era il 1956, aveva quasi sei anni e le truppe sovietiche stavano invadendo l'Ungheria.
Il suo racconto era quasi un'istantanea: lo stanzone dove abitavano, la portineria di una fonderia della Stalingrado d'Italia dove mio nonno faceva l'autista e mia nonna la portinaia, con in fondo il camino e la radio appoggiata sopra.

Ricorda i miei nonni appoggiati al camino, lui che voleva correre e mia zia quindicenne che lo sgridava, fagli sentire la radio che è importante, davvero, stai buono. Mio nonno, che qualche decennio prima aveva avuto il cattivo gusto di essere fascista, stava tornando indietro nel tempo: a quel buco nero tra 1944 e 1945, a Dresda. Era partito per la Germania con mia nonna che gli urlava nelle orecchie che non era una buona idea, che un uomo deve stare vicino alla sua famiglia, che non sarebbe successo niente di buono. Aveva ragione. I soldi guadagnati e spediti a casa sparivano magicamente alla frontiera. Mia nonna non sapeva più a che santo votarsi; mia zia chiedeva disperatamente una bambola per giocare e una bicicletta ma niente, non c'erano soldi per mangiare figurarsi per i giocattoli. Poi è arrivata la notte tra il 13 e il 14 febbraio 1945: uno dei bombardamenti più devastanti della storia.
Questa disgraziata vicenda non poteva però finire così: dopo il bombardamento è arrivata l'Armata Russa. E alla vista di questi disgraziati italiani in camicia nera che potevano fare se non caricarli su un treno destinato a un campo di riabilitazione in Siberia?
All'arrivo del 15 agosto 1945, il treno che trasportava mio nonno era alle porte di Mosca. Pare che l'abbiano fermato in  aperta campagna, abbiano fatto scendere i passeggeri, abbiano dato loro un foglio di via, indicato la ferrovia alle loro spalle e abbiano detto loro: gambe in spalla e tornatene a casa, la guerra è finita.
Mio nonno, partito dal mantovano con le pezze al sedere, è tornato a casa a piedi: con più pezze al sedere di prima e i pidocchi.

Nel 1956, mio nonno ascoltava la radio con le braccia incrociate sul camino, ci appoggiava sopra la testa e contemporaneamente la scuoteva con paura. Mia nonna cercava di consolarlo e lui le rispondeva "ma tu non capisci: arrivano, arrivano anche qui".
In qui giorni, mio padre ha scoperto che esiste una cosa che si chiama Storia e che si intrufola nelle nostre vicende quotidiane.


Oggi, tornando da scuola, anche mio figlio scoprirà che esiste una cosa che si chiama Storia: qualcosa che, mentre stai vivendo come fai sempre, potrebbe cambiarti la vita all'improvviso, o togliertela del tutto.

2 commenti:

  1. Sto traducendo la storia di una donna che si è salvata da Auschwitz per poi tornare nella natìa Praga e vedersi ammazzare il marito dal regime comunista pochi anni dopo. Quando si vive la Storia non è quasi mai una bella cosa.

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  2. Quasi mai, è vero.

    Però mi fai venire in mente una cosa: qual è l'avvenimento storico che ci dispiace non ricordare?

    A me dispiace non ricordare del giorno in cui è caduto il Muro di Berlino. Ero piccina, sì, ma non al punto da essere completamente inconsapevole. Invece niente, buio completo.

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Perché mica si può sempre andare a Londra a sfogarsi allo Speakers' Corner.